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L’Europa e la Polonia: il problema della cristianità polacca dopo il comunismo

Jacek Bartyzel

Il problema della cristianità polacca dopo il comunismo non può essere compreso senza aver prima conosciuto, perlomeno a grandi linee, la storia delle relazioni fra Polonia ed Europa e la riflessione sull’Europa condotta in seno al pensiero polacco. È dunque necessario, in questa sede, fornire delle nozioni essenziali su entrambi gli aspetti.

Lo stato polacco, fondato dalla dinastia dei Piasti nel X secolo, entrò a far parte dell’Europa, intesa quale comunità civile fondata sulla religione romana cattolica, nel 966, con il battesimo del primo sovrano storico della Polonia: il duca Mieszko I1. L’accesso della Polonia all’Europa avvenne quindi quasi in esatta concomitanza con un secondo evento, di maggiore durata: la renovatio imperii Romanorum compiuta dal re di Germania Ottone I, incoronato imperatore nel 962 a Roma. Una conferma tangibile dell’orientamento occidentalistico verso Roma è data dal documento donazionale recante l’incipit Dagome iudex (“Dagome” è senza dubbio il genitivo del nome di battesimo del duca Mieszko, ossia Dagobert), emesso sul finire del regno di Mieszko, con ogni probabilità nel 991, col quale il sovrano dello “Stato di Gniezno” o civitas Schinesghe trasferì il proprio regno sotto la protezione della Santa Sede2.

Un evento ancor più significativo fu il cosiddetto Congresso di Gniezno tenutosi nell’anno 1000, quando il sacro imperatore romano Ottone III, in pellegrinaggio al sepolcro di sant’Adalberto – missionario e martire fatto uccidere dalla Prussia pagana – si recò da Bolesław Chrobry (il Coraggioso), figlio e successore al trono Mieszko I, e durante la cerimonia pose sulla testa del sovrano polacco il diadema imperiale, consegnandogli la copia di una delle più importanti reliquie del Sacro Romano Impero: la lancia di san Maurizio. Non si trattò certo di una vera e propria incoronazione del duca polacco (avvenuta soltanto nel suo ultimo anno di regno, ossia nel 1025), nondimeno l’eloquenza politica di questo gesto fu potentissima. Esso significò, in virtù della sua portata simbolica, che il giovane stato polacco, appena agli inizi del proceso di cristianizzazione, veniva aggregato alla Christianitas europea quale uno delle quattro entità principali dell’Impero, di pari diritto rispetto a Italia, Francia e Germania. Il progetto universalistico dell’imperatore Ottone può essere letto anche nell’iconografia imperiale dell’epoca; nel cosiddetto Evangeliario di Bavaria quattro figure allegoriche femminili raffiguranti Roma, Gallia, Germania e Sclavinia (le regioni abitate dagli Slavi, fra cui il territorio polacco) rendono omaggio all’imperatore seduto sul suo trono, mentre nel cosiddetto Evangeliario di Liuthar uno dei due sovrani raffigurati ai lati subito sotto l’imperatore è il re di Polonia Bolesław Chrobry3.

La grande e nobile visione dell’impero ecumenico di Ottone III non sarebbe stata mai più realizzata. Cadde con la morte prematura di questo imperatore e sotto la pressione dell’orgoglio nazionalista germanico – un fenomeno rimasto costantemente nella storia, persistente oggigiorno. Pur tuttavia il legame fra Polonia e Occidente, ma soprattutto la fedeltà incrollabile nei confronti della Santa Sede, non sarebbe mai stata compromessa. La Polonia ha costituito il bastione della cristianità romana cattolica situata più ad Est, una realtà, questa, che avrebbe determinato il carattere e l’andamento dei rapporti e degli scontri civili, per i quali il confine orientale della Polonia, più volte modificato nei secoli, avrebbe pur sempre rappresentato il limes dell’Occidente. Come ben più tardi si disse, l’Occidente finisce là dove giacciono le ultime chiese gotiche e barocche.

Occorre però aggiungere che fino al XIV secolo la Polonia attinse al patrimonio civile dell’Occidente senza fornire ad essa apporti significativi. Tale rapporto mutò nel 1386 con la stipula della prima unione – inizialmente soltanto personale dinastica, poi più volte rinnovata e rafforzata – del Regno Polacco con il Granducato di Lituania, comprendente anche la maggior parte dei territori della ex Ruś di Kiev4. Il matrimonio della regina polacca, santa Edvige d’Angiò (d’Anjou), con il sovrano della Lituania, il granduca Jogaila (Jagiełło), che salito al trono di Polonia de iure uxoris fu battezzato sotto il nome di Ladislao (Władysław), significò innanzitutto la cristianizzazione dell’ultimo grande stato pagano d’Europa. Il confine della Christanitas europea occidentale cattolica si spostò così profondamente ad Est, correndo ad appena 150 chilometri da Mosca, città lasciata dai granduchi alle umilianti dipendenze dai Tartari asiatici e pagani (Mongoli). Il dominio congiunto polacco-lituano degli Jagelloni, esteso su oltre un milione di chilometri quadrati, costituiva all’epoca lo stato più vasto d’Europa, e quando nella seconda metà del XV secolo il figlio maggiore del re Casimiro Jagellone (Kazimierz Jagiellończyk), Ladislao, prese la corona di Boemia e Ungheria, la dinastia jagellonica poté dirsi dominatrice di un impero affacciato su tre mari: il Baltico, l’Adriatico, il Mar Nero (Balticum – Adria – Pontus). Purtroppo a porre fine a questo glorioso momento fu la devastante sconfitta dell’Ungheria nella battaglia contro i Turchi a Mohacz nel 1526, che comportò una lunga occupazione di 2/3 del Regno di Ungheria da parte dell’Impero Ottomano.

Più che questi eventi, appartenenti ad un passato remoto e comunque in grado di ispirare l’attuale riflessione sulla forma, ovvero sull’assetto dell’unità europea, interessa tuttavia il modo in cui Polacchi e Lituani abbiano istituito un legame sempre più stretto e durevole fra i loro organismi politici fino a sancire la nascita della Repubblica delle Due Nazioni. Cruciale in questo contesto fu un’ulteriore unione: quella detta Horodelska in quanto stipulata nel 1413 presso la cittadina di confine Horodło. Questa unione servì a riconfermare la politica condotta di comune accordo dai due paesi e ad istituire il sistema parlamentare polacco-lituano, ma innanzitutto inaugurò un fenomeno di assoluta unicità nella storia della Polonia: l’assimilazione, da parte della nobiltà polacca, di famiglie di guerrieri lituani (boiardi) fin negli stemmi e nei simboli araldici nonché il completo riconoscimento dei diritti nobiliari nei loro confronti. Si trattò dunque di una vera e propria unione “dei liberi con i liberi e dei pari con i pari” non solo sul piano statale ma anche sociale, sul piano dell’elite naturale. Il carattere straordinario di questo documento traspare dal preambolo posto ad illustrare le ragioni del generoso atto compiuto dalla nobiltà polacca. Riecheggia in esso manifestamente l’inno sulla carità di san Paolo Apostolo: È noto a chiunque che non riceverà la grazia della salvezza chi non sarà supportato dal mistero della carità, il quale non agisce fortuitamente ma raggiante della propria bontà riconcilia chi è in lite, unisce chi è in discordia, converte l’odio, placa l’ira ed elargisce a tutti il cibo della pace, riunisce ciò che è sparso, allevia nei travagli, leviga ciò che è ruvido, raddrizza ciò che è curvo, sostiene tutte le virtù e non danneggia alcuno ma tutto ama, così che chiunque corra tra le sue braccia trovi sicurezza e non tema l’assalto di nessuno; attraverso di esso vengono create leggi, i regni governano, le città godono del loro ordine e lo stato della Repubblica (status reipublicae) conseguirà il suo fine migliore5. È difficile non apprezzare la sublimità, la bellezza spirituale di queste parole e gli atti che ne conseguirono: la proclamazione del “mistero della carità” (misterium caritatis) quale fondamento del legame politico fra le due nazioni testimoniarono un innalzamento alle vette del pensiero politico cristiano, fornendo al contempo un modello sul quale costruire relazioni simili su una scala ancor più ampia. Tale contributo al pensiero universale da parte della scuola polacca del diritto naturale e del diritto delle nazioni (ius gentium) si espresse altresì nelle tesi formulate da luminari dell’Accademia di Cracovia (oggi Università Jagellonica), quali Stanisław ze Skarbimierza (Stanislaus de Skarbimiria; 1365–1431) e Paweł Włodkowic (Paulus Vladimiri; 1373/75–1435), noto per i suoi interventi al Concilio di Costanza6.

In questo stesso secolo fece la sua comparsa in Europa la definizione della Polonia quale “antemurale della cristianità” (antemurale christianitatis). Ciò era giustificato dalla difesa non solo dei confini polacchi, ma anche di altri paesi dell’Europa cristiana contro i Tatari, poi contro il potere ben maggiore e più pericoloso della Turchia maomettana, vale a dire dell’Impero Ottomano. Il culmine di queste lotte condotte in difesa dell’Europa per tre secoli fu la Vittoria di Vienna, avvenuta nel 1683 sotto la guida del re polacco Giovanni (Jan) III Sobieski.

La riflessione sulla forma più appropriata che avrebbe potuto assumere l’assetto europeo conobbe un costante approfondimento nel pensiero polacco, non esaurendosi neppure quando lo stato indipendente della Polonia fu assente per 123 anni nelle carte d’Europa a seguito del crimine di distruzione e spartizione del regno cristiano da parte di tre paesi limitrofi: Russia, Prussia e Austria. Nel 1815, al Congresso di Vienna, tale crimine non fu che leggermente ridimensionato creando lo stato vassallo del Regno del Congresso, semi-indipendente e costretto ad una unione personale dinastica con l’Impero Russo. Nel contesto di questo evento e della creazione da parte di Russia, Prussia e Austria della cosiddetta Santa Alleanza in difesa dei principi cristiani in politica, il più illustre statista polacco del XIX secolo (detto in seguito, già in esilio, “re della Polonia senza corona”), il principe Adam Jerzy Czartoryski (1770–1831), nel suo Saggio sulla diplomazia. Il manoscritto di Philhellèn (Essai sur la Diplomatie ou manuscrit d’un Philhellène) scritto in francese sotto lo pseudonimo “Toulouzan”, espose una serie di principi inerenti all’ordine internazionale basati sulle norme del diritto naturale stabilite da Dio. Il principe Czartoryski affermò, tra l’altro: L’ordine naturale e morale del genere umano può persistere e lo scopo sacro della sua esistenza sulla terra può essere rispettato e non compromesso all’unica condizione che ogni nazione rimanga ciò che ha il diritto di rimanere costantemente, ovverosia una particella distinta e separata del genere umano. Va da sé che una nazione non può per legge imporre il proprio potere su un altro popolo, poiché in tal modo priverebbe questa nazione dei suoi mezzi per realizzare lo scopo assegnato da Dio agli uomini dando loro l’esistenza. Le nazioni devono riconoscere l’esistenza di un diritto comune umano che genera e governa i loro diritti parziali. Proprio questo legame universale e supremo decide degli obblighi reciproci dei popoli e costituendoli quali persone giuridiche indipendenti, quali membri della razza umana godenti in assoluto di pari diritti, tutti ugualmente tenuti ad obbedire ai principi di giustizia e moralità7.

Una visione lungimirante di una comunità universale basata sull’unità europea fu contemporaneamente esposta dal più grande filosofo polacco (espressosi anche in francese): Józef Maria Hoene Wroński (1776–1853). Nella sua opera La creazione assoluta dell’umanità (Création absolue de l’humanité) scritta intorno al 1818, delineò la propria concezione di una federazione di nazioni il cui scopo fosse salvaguardare i singoli stati e la loro reciproca indipendenza8. Al mantenimento di tale indipendenza tra stati contribuirebbe l’equilibrio politico fra i medesimi, dato sia da entità fisiche quali la popolazione, i confini naturali (termine con cui l’autore intende i confini fisici dei bacini geologici) e le risorse naturali, sia da entità pragmatiche comprendenti la conoscenza, il temperamento e la statura morale. D’altro canto, la neutralizzazione delle tensioni e delle difficoltà dovrebbe essere affidata ai congressi dei capi di stato o dei ministri degli esteri. Da non sottovalutare sarebbe allo stesso scopo l’influenza della religione in quanto tesa costantemente a mostrare il fine ultimo dell’umanità. Uno strumento morale in grado di contribuire alla federalizzazione è altresì, secondo Wroński, il patriottismo, inteso come dedizione totale alle cause dello stato. Conferisce esso ai compatrioti la sublime consapevolezza del fatto che la difesa dell’indipendenza dello stato è l’unica forma valida di salvaguardia dell’umanità contro il decadimento della società, e pertanto l’unica garanzia di raggiungimento del fine ultimo9. Strumento fisico della federalità corrispondente al patriottismo è lo spirito nazionale inteso come amor di patria. Esso dovrebbe essere perfezionamento della nazionalità, di cui la natura, nella sua finalità, si serve per salvaguardare la reciproca indipendenza fra gli stati10. Nel creare un’unità fra i paesi europei si dovrebbe fare in modo che anche i popoli meno numerosi abbiano l’opportunità di formare paesi indipendenti, a condizione che godano di una coscienza nazionale evoluta ed una cultura intellettuale espressa nel possesso di una tradizione letteraria e di una lingua abbastanza sviluppata da consentire l’espressione di ogni concetto astratto. La via migliore per perseguire una graduale federalizzazione dell’Europa sarebbe la creazione di confederazioni regionali di paesi europei, che in virtù della loro natura sappiano garantire l’indipendenza degli stessi. Tali confederazioni consisterebbero in corpi politici riunenti nazioni linguisticamente distinte ma appartenenti ad una stessa famiglia, in grado di rappresentare un’entità comune a dispetto delle differenze interne, un’individualità riconoscibile. Hoene Wroński avverte che se si permetterà che le sacrosante leggi degli stati vengano calpestate e che la loro inviolabile indipendenza venga distrutta, questa futura comunità universale andrà incontro ad un inesorabile annientamento11. Al contrario: l’istituzione di una vera Santa Alleanza dell’umanità quale compimento dei destini terreni dell’uomo inaugurerebbe la realizzazione dei fini ultimi supremi: l’umanità recupererà l’unione perduta con Dio, si unirà nel Verbo (Cristo) e parteciperà alla vita eterna dell’assoluto divino12. Secondo questa visione la filosofia politica e la filosofia della storia appaiono dunque coniugate con l’escatologia.

Dopo il recupero dell’indipendenza nel 1918 e la sua difesa da parte della Polonia, due anni dopo, dall’ondata del bolscevismo – difesa operata indirettamente anche per l’intero continente – la riflessione sull’Europa condotta in Polonia venne gradualmente incentrata sulle fondamenta civili dell’auspicata unità europea. Una figura rappresentativa di questa tendenza fu quella dello storico e filosofo della storia Feliks Koneczny (1861–1949), autore della teoria da egli stesso denominata “scienza delle civiltà”. La sua definizione di civiltà è semplice e allo stesso tempo chiara: la civiltà è il metodo alla base del sistema di vita collettivo che copre tutte le dimensioni dell’esistenza umana, sia spirituali che materiali, esprimibili in cinque categorie dell’essere: conoscenza, moralità, senso estetico, salute e benessere13. Ogni civiltà che sia mai esistita ed esisterà in futuro possiede necessariamente una determinata e precipua concezione di come disporre di queste cinque sfere e si richiama ad essa nella pratica. Koneczny ha sottolineato non solo (come prima di lui Oswald Spengler, seguito da Arnold J. Toynbee e Samuel Huntington) che esistono molte civiltà e non una universale, e che queste rimangono in conflitto tra loro, ma anche che ciascuna di esse presenta principi morali, legali e di altro genere tanto diversi che, pur potendo coesistere su uno stesso territorio, da ciò non deriverebbe nulla di buono. È illusoria la convinzione che si possano costruire “sintesi di civiltà”. In Polonia, ad esempio, e in tutta l’Europa Centro-Orientale, coesistono contrastando quattro civiltà: latina, bizantina, turanica (moscovito-asiatica) ed ebraica (nella quale Koneczny include anche il bolscevismo). A peggiorare le cose, in virtù di una legge in seno alla civiltà analoga alla legge monetaria di Copernico-Grasham, secondo cui la moneta cattiva sostituisce quella buona, la civiltà migliore viene sostituita da una peggiore. Come ha sottolineato l’autore, non si può essere civilizzati in due modi, figuriamoci in molti. Sarebbe pertanto auspicabile che all’interno di ciascun paese europeo e in tutta Europa dominasse una sola civiltà: la migliore, ossia quella latina, definita dall’autore anche classico-cristiana, in quanto prosecuzione della civiltà romana antica, fecondata dalla civiltà greca, arricchita e nobilitata dal cristianesimo cattolico. La civiltà latina deve la sua nobiltà e maturità al fatto che dopo la caduta di Roma proprio la Chiesa cattolica, una volta assunta la direzione spirituale e, temporaneamente, per necessità, anche politica, delle civiltà occidentali, abbia assunto il ruolo di educatrice delle nazioni europee nate a partire dal primo Medioevo. La chiesa conferì loro non solo il Vangelo e la luce della fede, ma anche il tesoro della conoscenza razionale (fides et ratio) e la disciplina del bene (legge basata sull’etica). Ovunque la Chiesa abbia compiuto la propria missione evangelizzatrice, ha sempre recato quattro postulati: (1) il matrimonio monogamico e indissolubile, rafforzando così la dignità della donna; (2) l’abolizione della schiavitù; (3) l’abolizione della vendetta ancestrale e la sua sostituzione con la giustizia pubblica; (4) l’indipendenza del potere spirituale da quello politico14. Secondo Koneczny rientrano fra i principi cardinali della civiltà latina: (1) il personalismo quale forma di riconoscimento e rispetto della dignità di ogni individuo, a differenza del collettivismo; (2) la natura civica, non burocratica e centralista dello stato; (3) il fondamento dello stato sulla nazione come specifica e suprema associazione naturale di persone; (4) il primato del lavoro mentale su quello fisico nella vita sociale; (5) la proprietà privata e familiare come base di qualsiasi proprietà e condizione di benessere; (6) la validità dei medesimi principi etici sia nella vita collettiva, compresa quella politica, sia nella vita individuale15. Ecco perché, ad esempio, il machiavellismo quanto il protestantesimo, secondo cui i sovrani debbano essere svincolati dall’obbligo di attenersi all’etica vigente per qualsiasi fedele cristiano, costituiscono un allontanamento dalla civiltà latina. Il nodo della questione è quindi comprendere che le specifiche soluzioni istituzionali e tecniche volte ad una unione europea debbano rivestire un ruolo secondario rispetto al fatto se nella nuova entità dovranno vigere le norme etiche e culturali della civiltà latina o dominare una cacofonia di civiltà accompagnata da una “baraonda di etiche”.

La nuova spartizione della Polonia tra Germania nazista ed Unione Sovietica comunista nel 1939, poi mezzo secolo di schiavitù sotto il comunismo quale conseguenza della seconda guerra mondiale, separarono il nostro paese dall’Europa, o meglio – dai paesi che ebbero modo di sottrarsi all’invasione dell’Armata Rossa. In tale circostanza venne a mancare del tutto l’opportunità per la Polonia di partecipare alla realizzazione di qualsiasi progetto europeo. L’unico legame concreto e indipendente dal regime comunista con l’Europa fu quello intrattenuto dalla Chiesa polacca come parte della Chiesa Cattolica, sotto la guida della Santa Sede. Ciò assunse un significato speciale nel 1978, quando al soglio pontificio fu eletto il “Papa slavo” (evento profetizzato nel 1849 dal poeta polacco Giulio /Juliusz/ Słowacki16). Karol Wojtyła/Giovanni Paolo Secondo, formatosi intellettualmente sulla grande poesia polacca romantica e sulla filosofia messianica, apportò al pensiero europeo un elemento di enorme importanza non sufficientemente apprezzato se non addirittura inavvertito in Occidente: l’idea dell’ “Europa dai due polmoni” – orientale e occidentale. Così come l’uomo per poter respirare correttamente ha bisogno di due polmoni, così la comunità europea dovrebbe “respirare” servendosi dei suoi due polmoni, valorizzando quindi anche quello orientale – prevalentemente, ma non solo, slavo. Il papa ricorse per la prima volta alla metafora dell’ “Europa dai due polmoni” durante l’omelia tenuta nel 1979 in occasione del suo primo pellegrinaggio in Polonia, a Gniezno, sede principale dei primati polacchi: Non vuole forse Cristo, non dispone forse lo Spirito Santo, che questo Papa polacco, Papa slavo, proprio ora manifesti l’unità spirituale dell’Europa cristiana? Sappiamo che questa unità cristiana dell’Europa è composta da due grandi tradizioni: dell’Occidente e dell’Oriente17. Va ricordato a questo punto che alcune delle nazioni dell’Europa centro-orientale, fra cui la Polonia, sono in prevalenza latino-cattoliche, mentre le altre, battezzate da Bisanzio, sono ortodosse. Il postulato di dare rilievo al “polmone orientale” dell’Europa è pertanto imprescindibile dall’imperativo di superare la tragica frattura del cristianesimo fra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa conseguito al cosiddetto Grande Scisma quasi mille anni fa, nel 1054.

Uno dei principali motivi ricorrenti della cosiddetta trasformazione politica dopo la caduta del sistema comunista nel 1989 risuonò come un “ritorno in Europa”. A prima vista e a livello istituzionale, stava avvenendo proprio questo. Le barriere politiche, ideologiche ed economiche tra Polonia e Occidente andavano gradualmente sparendo. Il culmine formale di questo processo è stata l’adesione della Polonia all’Unione Europea nel 2004. I polacchi hanno iniziato, senza ostacoli e in massa, a dirigersi in Occidente, anche per guadagno, stabilendosi nei paesi occidentali. Se tuttavia si guarda a questo fenomeno da una prospettiva più ampia e più profonda, si osserva che il “ritorno in Europa” è stato ed è tuttora gravato da seri e tristi paradossi. Innanzitutto, le condizioni non solo politiche, ma anche spirituali e morali dell’Europa (occidentale) della fine del XX secolo si sono dimostrate drasticamente diverse dall’immagine – o meglio illusione – che si aveva in Polonia dell’Europa come eterno baluardo e fulcro della civiltà cristiana, seppur nella sua forma rarefatta cristiano-democratica che essa aveva assunto sotto le mani dei “padri fondatori” dell’Unione nel dopoguerra, vale a dire di Robert Schuman, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer. Si è scoperto dunque che l’Unione Europea della realtà non solo non si riconosceva nell’identità cristiana, ma persino disconosceva al cristianesimo il ruolo di fondamento, radice dell’Europa moderna. Si potrebbe anzi dire che a partire dalla nascita dell’EU (Unione Europea) le riserve nutrite dai cittadini nei confronti della tradizione cristiana siano mutate in una forte ostilità, spesso associata alla promozione di comportamenti e regolamenti legali in chiaro conflitto con la legge naturale. Basti pensare all’aborto, all’eutanasia o alle relazioni omosessuali, la cui accettazione sta già assumendo le forme di una sorta di “ortodossia pubblica” dell’europeismo, mentre l’opposizione verso di essi è sempre più oggetto di biasimo e penalizzazione.

Un secondo paradosso riguarda la Chiesa occidentale stessa. L’apertura della Polonia verso l’Occidente è avvenuta nel momento in cui tutti i frutti avvelenati del cosiddetto “rinnovamento conciliare” apparivano manifestamente. I Polacchi giunti in Occidente si sono trovati dinnanzi un “vigneto devastato”: una Chiesa corrosa fino alla cima della sua gerarchia da eresie, dalla svalutazione della dottrina, da eccessi liturgici; una Chiesa ristretta all’area di piccole isole in un mare laico e indifferentista; una Chiesa ridotta al silenzio dal mainstream liberaldemocratico e timorosa di esprimere la propria opposizione al dominio della “civiltà della morte”. Va altresì rilevato che prima del 1989 in Polonia non aveva avuto luogo un movimento in difesa della Tradizione cattolica poiché le riforme post-conciliari erano state introdotte sotto la guida del primate Wyszyński con prudenza se non addirittura con una certa passività, non intaccando dunque seriamente le forme tradizionali e ortodosse di devozione cattolica tipiche della società polacca. Ecco perché la presa di coscienza degli scandali in atto sotto la bandiera cattolica in Occidente è stato per i cattolici polacchi tanto più sconcertante. Quasi nessuno sapeva che in Occidente esistessero dei “tradizionalisti” impegnati in contrastare l’autodistruzione della Chiesa, e stupefatti si ponevano semplici domande: perché tutti i presenti alla messa ricevono la comunione: sono forse tutti in stato di grazia? Se è così, perché nella chiesa non ci sono confessionali? Dove vanno, quindi, a confessarsi? E perché prendono l’ostia non solo in piedi (una pratica allora già imposta in Polonia) ma anche “in mano”? E perché a distribuire le ostie ai fedeli sono profani e persino donne?

In tali circostanze le “devote speranze” dei vescovi polacchi e dello stesso papa polacco secondo cui l’entrata della Polonia nell’Unione Europea avrebbe fruttato la sua cristianizzazione, si sono dimostrate delle illusioni. È avvenuto infatti il contrario: i processi di decadenza da tempo in atto in Occidente hanno iniziato a penetrare in Polonia attraverso un canale sempre più ampio. Ad approfondire la drammaticità della situazione è stato il fatto che in Polonia non vi fosse una forza politica rilevante che desiderasse e fosse capace di contrastare tale realtà. Il patto della cosiddetta “tavola rotonda” del 1989, concluso fra i leader del regime comunista e il gruppo politico da essi selezionato tra le file dell’opposizione democratica, anch’esso di sinistra, “ha cementificato” per diversi anni l’establishment politico. Nei decenni a venire due schieramenti hanno assunto un ruolo dominante nel settore politico, economico e mediatico. Da una parte i post-comunisti sotto i colori della “sinistra democratica” ed “Europei”, i quali – come dichiarato con evidente cinismo dall’ex presidente Aleksander Kwaśniewski – in passato erano stati obbedienti a Mosca, quindi adesso erano in grado di obbedire tranquillamente a Brussel. Dalla parte opposta, le cerchie della sinistra liberale, dalla Piattaforma Civica ai vari gruppi della nuova sinistra, che accolgono invece con entusiasmo qualsiasi tendenza “progressista” sostenuta dall’Unione Europea, fra cui l’ideologia gender e il movimento LGBT, trattandoli come sinonimi di europeismo e ritenendo una loro implementazione in Polonia come condizione indispensabile per poter “stare in Europa”. La situazione è invece diversa nel caso del partito Diritto e Giustizia, che è riuscito – sembrerebbe in modo permanente – ad infrangere il dominio dei postcomunisti e dei liberaldemocratici ponendosi chiaramente come un partito conservativo e cattolico. Questa intenzione sarà pure sincera, ma la logica stessa a monte del sistema elettorale democratico, che impone la riscossione del sostegno nella “palude” di centro per poter ottenere la maggioranza, comporta che la difesa dalla rivoluzione morale e dei costumi messa in atto da questo partito risulti incoerente, anemica e ambivalente. Il proposito di un intervento serio e coraggioso in difesa della civiltà cristiana in Polonia non ha ancora trovato un attore riconoscibile sulla scena politica, mentre la ricca tradizione della riflessione polacca sull’Europa, cui si è fatto richiamo all’inizio di questo contributo, resta, per il momento, priva di sviluppi.

58º Convegno Internazionale “L’idea di Europa nelle culture politiche non egemoni: proposte, progetti, problemi”, Istituto Internazionale di Studi Europei “Antonio Rosmini”, Libera Università di Bolzano, Bolzano/Bosen, 3-5 X 2019


1 Cfr. Jerzy DOWIAT, Chrzest Polski, Wiedza Powszechna, Warszawa 1958; IDEM, Metryka chrztu Mieszka I i jej geneza, PWN, Warszawa 1961; Piotr BOGDANOWICZ, Chrzest Polski, „Nasza Przeszłość”, 23 (1966), pag. 7-64.

2 Cfr. Henryk ŁOWMIAŃSKI, Imię chrzestne Mieszka I, „Slavia Occidentalis”, 19 (1948), pag. 203-308; Brygida KÜRBIS, Dagome iudex. Studium krytyczne, in: Początki państwa polskiego. Księga Tysiąclecia (ed. Kazimierz TYMIENIECKI), t. I, Organizacja polityczna, PWN, Poznań 1962, pag. 363-423.

3 Cfr. Piotr SKUBISZEWSKI, W służbie cesarza, w służbie króla. Temat władzy w sztuce ottońskiej, in: Funkcje dzieła sztuki, PWN, Warszawa 1972, pag. 17-72; Jerzy MULARCZYK, Tradycja koronacji królewskich Bolesława I Chrobrego i Mieszka II, Wydawnictwo „Rzeka”, Wrocław 1998; Stanisław ROSIK, Gdy rodziła się Europa… Zjazd gnieźnieński, Wydawnictwo Dolnośląskie, Wrocław 2001.

4 Cfr. Oskar HALECKI, Dzieje unii jagiellońskiej, t. I-II, Wydawnictwo Neriton, Warszawa 2013.

5 Cfr. Unia horodelska 1413 (ed. Lidia KORCZAK), Wydawnictwo UJ, Kraków 2014.

6 Cfr. STANISLAUS DE SKARBIMIRIA, Sermones selecti de sapientia / STANISŁAW ZE SKARBIMIERZA, Mowy wybrane o mądrości, Wydawnictwo ARCANA, Kraków 2000; Pisma wybrane Pawła Włodkowica (ed. Ludwik ERLICH), t. 1-3, Wydawnictwo PAX, Warszawa 1968.

7 Essai sur la diplomatie ou manuscrit d’un Philhèllene. Publié par M. Toulouzan, Paris 1830.

8 Józef Maria HOENE WROŃSKI, Społeczność powszechna, czyli federacja państw, in: 700 lat myśli polskiej. Filozofia i myśl społeczna w latach 18311864 (ed. Andrzej WALICKI), PWN, Warszawa 1977, pag. 120.

9 Ibidem, pag. 123.

10 Ibidem.

11 Ibidem, pag. 127.

12 Ibidem.

13 Zob. Feliks KONECZNY, O wielości cywilizacyj, Gebethner i Wolff, Kraków 1935, pag. 133-161.

14 Zob. Ibidem, pag. 269-272; IDEM, Kościół a cywilizacje, Wydawnictwo Onion, Lublin 1996, ss. 36-43.

15 Zob. IDEM, O cywilizację łacińską, Wydawnictwo Onion, Lublin 1996; IDEM, Obronić cywilizację łacińską!, Fundacja Rozwoju Kultury Polskiej, Lublin 2002, passim.

16 Zob. Juliusz SŁOWACKI, Pośród niesnasek Pan Bóg uderza, in: IDEM, Dzieła, t. 1, Wiersze drobne, Księgarnia W. Gubrynowicza, Lwów 1909.

17 Acta Apostolicae Sedis. Commentarium Officiale. Acta Ioannis Pauli PP., pag. 750.

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